Vaccino vs Harvard :uno studio dimostra che e' piu' pericoloso del covjd-stesso - Speranza Trema

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La narrativa del vaccino crolla mentre uno studio di Harvard mostra che Jab è più pericoloso del COVID , e Speranza e' sempre piu' coinvolto Leggiamo da : La narrativa del vaccino crolla mentre lo studio di Harvard mostra Jab più pericoloso del COVID (theflstandard.com)   come confermato da tutte le fonti citate al suo interno Poiché i booster che non sono stati testati sugli esseri umani vengono lanciati in tutto il paese, un nuovo studio indica che il jab è molto più pericoloso dello stesso COVID-19. E il CDC ha fornito false informazioni riguardo al tracciamento degli eventi avversi legati ai vaccini. Poiché i funzionari del governo e i media mainstream esortano i vaccinati a iniettare un secondo cosiddetto booster "bivalente" che si dice stia prendendo di mira la variante Omicron, si scopre che questa sostanza non è stata testata sull'uomo.  E l'unico studio sugli animali che è stato eseguito includeva otto topi . “Non è stato dimostrato in una sperimenta

La dimostrazione dei poteri psichici di Buddha

La dimostrazione dei poteri psichici di Buddha

del monaco buddhista Isi Dhamma
Tratto da it.dhammadana.org 
I tre tipi di poteri psichici
Quando Buddha abitava nel magnifico parco di Pavarika, situato presso
il villaggio Nalanda, un certo Kevadda gli si accostò. 
Dopo essersi
seduto ad una distanza conveniente, questi si prosternò
rispettosamente davanti al Beato, e gli disse qualche parola di
cortesia, prima di rivolgersi a lui:
«Oh, nobile Buddha!
 Nalanda è una città coronata di successo.
 I suoi abitanti vivono nella prosperità ed hanno fiducia in voi. 
Per
accrescere e sostenere solidamente questa fiducia, sarebbe bene che
voi deste qualche dimostrazione di abhiñña (poteri psichici).
— Kevaddha! 
Io non insegno il Dhamma in questo modo!»
Quando Nalanda sollecitò la sua richiesta una seconda, poi una terza
volta, Buddha rispose sempre nell'identica maniera.
 Infine, spiegò la natura dei tre poteri psichici:

«1) Vi sono i poteri psichici che consistono nel produrre delle
creazioni visive, nell'attraversare i muri, nel volare in aria, nel
camminare sull'acqua, senza affondare, ecc.»

«2) Vi sono dei poteri psichici, tramite i quali si possono conoscere
i pensieri e le vite altrui.»

«3) Vi sono dei poteri psichici, grazie ai quali si possono guidare
gli esseri, a seconda delle loro parami, tramite l'utilizzo dei mezzi
a loro appropriati.»

I due primi tipi di poteri psichici, se vengono impiegati per il
piacere, o per impressionare la gente, non differiscono, allora, da
una volgare manifestazione di prestidigitazione. 
I monaci che li praticano in questo senso rappresentano una sorgente di vergogna, di
umiliazione e di disgusto per il samgha. 
Se i monaci acquistano l'abitudine di sollecitare la fede delle persone verso il Dhamma,
tramite questi mezzi, il giorno in cui non saranno più capaci di manifestare i poteri psichici, il sasana (l'insegnamento di Buddha) prenderà fine. 
Tali mezzi sono in grado di impressionare e di
convertire delle folle verso la propria dottrina, ma non portano la
conoscenza del Dhamma e sono privi della minima possibilità di
liberare gli esseri dal sa?
sara (ciclo delle rinascite).

Il terzo tipo dei poteri psichici aiuta gli esseri a liberarsi dalla
sofferenza. 
E' il solo tipo di poteri psichici che sia degno di venire
praticato. 
Quando un monaco vede un individuo prigioniero della
passione, roso dall'avidità, utilizza i suoi poteri per insegnargli a
liberarsi dalla brama e dal desiderio. 
Quando vede una persona schiava
della collera, divorato dall'avversione, impiega i suoi poteri per
aiutarlo a controllare questa collera e questa avversione. 
Quando un
monaco osserva una persona sottoposta all'ignoranza, utilizza i suoi
poteri per spingerla a disfarsene, sviluppando la conoscenza della
realtà. 
Ecco i poteri psichici che è sano e costruttivo impiegare.

La proibizione di esibire i poteri psichici
Un giorno, quando Buddha aveva 20 vassa, certi bramini della città di
Rajagaha erano dubbiosi circa la saggezza e la capacità dei monaci.
Qualcuno affermava, addirittura, che non vi era un solo arahant nel
samgha; fatto che ebbe la conseguenza di allarmare molte persone. 
Un ricco bramino della capitale, era, dal canto suo, persuaso che non vi
fosse un solo monaco dotato di poteri psichici. 
Dopo avere riflettuto su di un sistema che lo potesse provare agli abitanti della città,
ebbe un'idea, che mise subito in pratica. 
Fece collocare una ciotola in legno di sandalo, alla sommità di un palo di sessanta gomiti (circa 30 metri) di altezza e proclamò alla folla:
«Prometto di adottare la dottrina del monaco, che sarà capace di provare che egli è un arahant, mostrando la sua abilità a volare in aria, sino a staccare quella ciotola!»

Nota: Ai tempi di Buddha, gli arahant possedevano sistematicamente dei
poteri psichici. 
Il bramino era, tuttavia, male informato, poiché essi
non erano i soli esseri dotati di questi poteri. 
Effettivamente, anche
i puthujana possono svilupparne qualcuno.
Poiché la ciotola di sandalo se ne restava sempre al proprio posto, il
ricco bramino giunse ad affermare formalmente l'assenza di arahant nel
mondo.
 Costernati, gli abitanti si ubriacarono di alcool, per tutta la
notte. 
Numerosi furono coloro che non vollero più rispettare i monaci.
Temendo che il fatto potesse attentare gravemente alla fede ed alla
fiducia delle persone, verso il Dhamma, un monaco, il Venerabile
Pindalasaradvaja, realizzò molto facilmente l'impresa voluta dal
bramino., 
E ciò ebbe, come effetto, di immergere l'intera città in ungrande tumulto di gioia e di soddisfazione.

Il ricco bramino si recò presso il Venerabile Pindalasaradvaja.
 Rapito dall'ammirazione, gli chiese di accettarlo come discepolo. 
Più tardi,andò da Buddha, accompagnato da numerosi amici:
«Oh, nobile Buddha! 
I vostri monaci hanno dei meravigliosi poteri psichici. 
Vorrei che ne dessero una dimostrazione ai miei molteplici
amici, che sono qui con me. 
Ho un'enorme ammirazione per il sa?gha,
 da
che ho assistito all'exploit del Venerabile Pindalasaradvaja.»
Quando il bramino ebbe narrato l'episodio della ciotola di sandalo,
appesa a sessanta gomiti di altezza, Buddha fece chiamare il
Venerabile Pindalasaradvaja ed ordinò che si spezzasse la ciotola di
sandalo, per farne un medicamento da unzione.
 Riunito, poi, il sa?gha, stabilì che, da quel momento, i monaci non dovessero mai più esibire i loro poteri psichici.:

«Non è corretto affascinare la folla, con l'aiuto degli abhiñña.
Rifiuto che i monaci facciano conoscere, o espongano i vantaggi del
Dhamma, con questi metodi. 
Autorizza l'impiego degli abhiñña unicamente nel caso di pericolo immediato, o per conoscere a fondo un individuo, allo scopo di meglio aiutarlo con dei consigli utili; mai,
però, mostrandogli gli effetti causati dagli abhiñña.

La preparazione dello spettacolo dimostrativo degli abhiñña
Qualche tempo dopo, quando Buddha abitava nel regno di Savatthi, nel
monastero di Jetavana, felice di potere schernire il samgha, un gruppo
di titthi progettò di organizzare uno spettacolo dimostrativo di
poteri psichici.
 Per portare a buon fine il loro spettacolo pubblico,
questi titthi si dedicarono alla costruzione di un grande riparo, e
non mancarono di avvertire, in anticipo, tutta la popolazione del
regno.
 Quando il re Pasenadi Kosala venne a conoscenza della natura
dello spettacolo che stava in preparazione, si recò da Buddha, per
parlargli dell'avvenimento, prima di proporgli:

«Oh, nobile Buddha! 
Permettete che costruisca un grande rifugio,
perché voi possiate piegare l'orgoglio di questi titthi.
— Non ve ne date la pena!
— Se non me ne incarico io, chi lo farà?
— Il deva Sakka (il re dei deva) lo creerà per me.
— Dove mostrerete i vostri poteri psichici?
— Sotto un mango.
— Che giorno scegliete per la vostra dimostrazione?
— Il giorno di luna piena di luglio.
— In che posto dovranno disporsi tutti coloro che desiderano assistere
alla vostra dimostrazione?
— Non vi preoccupate di questo: mi si vedrà, da ogni parte, sulla Terra.»
Terminato questo dialogo con Buddha, il re Pasenadi Kosala si premurò
di spedire in fretta dei messaggeri verso tutte le direzioni, onde
preavvertire l'intera popolazione del suo regno, sull'avvenimento. 
Quando i titthi sentirono che Buddha avrebbe
effettuato la sua dimostrazione sotto un mango, fecero tagliare tutti
gli alberi di mango. 

La mattina del giorno della luna piena di luglio,
non esisteva più un solo mango; non ve ne era neppure un germoglio, al
di fuori del giardino del re, ove nessuno avrebbe osato prenderlo.
Facendo la sua colletta di cibo in Rajagaha, il Beato giunse al
palazzo del re.
In quella stagione, non esisteva , da tempo, un solo mango. 
Però, uno
ve n'era — né più, né meno che nel giardino del re. 
Era un frutto
magnifico, di taglia generosa, e maturo da consumarsi. 
Quando Kanda, il guardiano del giardino, lo vide, lo colse, per andare a darlo al
re. 
Tuttavia, appena scorse il Perfetto, con la sua ciotola, ebbe il
grande piacere di offriglielo. 
Avendo raccolto sufficiente cibo,
Buddha si sistemò all'esterno, non lontano dal giardino reale, per
mangiare. 
Quando ebbe finito, dette il nocciolo al guardiano:
«Kanda! Piantate questo nocciolo!
— Venerabile Buddha, dove volete che lo pianti?
— Proprio qui!»
Una volta piantato il nocciolo, il guardiano venne a versare
dell'acqua sulle mani del Beato, perché se le lavasse.

 Cadendo al
suolo, l'acqua irrorò il nocciolo. 
A quel punto, grazie ai poteri di Buddha, il nocciolo si aprì ed un superbo albero di manghi crebbe, all'istante. 
Sbalordito dall'apparizione improvvisa del mango, Kanda
corse ad avvertire il re e tutta la gente che incontrò. 
Poiché
l'albero era carico, già, di numerosi frutti, il guardiano li colse,
per offrirli al samgha. 
Il re ordinò che un nutrito numero di
guardiani si disponesse attorno all'albero, per proteggerlo dai titthi
malintenzionati.
 Le persone che volevano vedere l'albero da vicino,
vennero in massa.
 Tutti coglievano i deliziosi manghi dall'albero, e
questi rispuntavano immediatamente, di sorta che l'albero ne era
costantemente pieno.
 Sgradevolmente stupiti nell'apprendere che ancora
un albero di mango era in piedi,
 i titthi tentarono di andarlo a
tagliare. 

Appena giunsero accanto all'albero, la gente, che li
detestava, lanciò loro addosso le ossa dei manghi, sulla testa.
Impauriti da questa ostilità collettiva, i titthi se ne fuggirono, a
larghe falcate, verso il grande riparo che avevano appena terminato
per il loro spettacolo dimostrativo dei poteri.
 Il re deva Sakka diede, allora, origine ad un potente uragano, che distrusse il riparo
dei titthi, avendo cura di risparmiare le case, lì attorno. 
Quindi, scatenò una pioggia da diluvio, malgrado la stagione, che aveva per
obiettivo la stessa località. 
Disperati, tra le macerie del loro
riparo, sguazzando nel fango, provocato dalla tempesta, i titthi se ne
scapparono da quei luoghi. 
Il loro capo, sopraffatto dalla
disperazione, si attaccò un pesante vaso attorno al collo e si dette
alla morte, gettandosi nel fiume.
 Riprese nascita nel mondo degli
inferi.
 I titthi, di fatto, non possedevano alcun potere psichico. 
La loro fanfaronata aveva come scopo unicamente quello di esasperare i
monaci, a cui Buddha aveva proibito il pubblico impiego dei poteri
psichici.

La dimostrazione dei poteri di Buddha
Per ridurre l'orgoglio dei titthi, Buddha dispiegò pienamente i suoi
poteri. 
Fece apparire un viale di pietre preziose, sospeso in aria, e
si involò sino ad esso.
 Quindi, rimase immobile per un istante,
galleggiando nel vuoto. 
Da lì, si immerse nel quarto jhana. 
Fece
scaturire delle grandi fiamme da alcune parti del suo corpo, come le
orecchie, gli occhi, la bocca, o gli stessi pori della pelle; mentre,
l'acqua scaturiva anche da altre parti del suo corpo. 
Creò, quindi, un
altro buddha, di modo che non si potesse sapere quale fosse quello
vero.
 Uno stava seduto; l'altro, in piedi. 
Quando il primo si alzò per
camminare, l'altro si distese. 
Tutti e due si misero, allora, a
discutere del Dhamma, ponendosi l'un l'altro delle domande, a cui
ognuno rispondeva, come se fossero due esseri totalmente distinti.
Tutti li potevano scorgere, in qualunque luogo si trovassero.

Nota: Per manifestare un abhiñña (qualunque esso sia e verso chiunque
venga espresso), una persona deve, precedentemente e necessariamente,
entrare nei quattro primi jhana, poiché è solo tramite il quarto di
essi che possono svilupparsi. 
Gli individui più abili sono capaci, in
ogni momento, di entrare, in successione, nei quattro jhana, durante
spazio di un secondo, come qualche grande discepolo di Buddha.

Più tardi, quando la dimostrazione terminò, Buddha non ridiscese. 
Al
contrario, se ne salì e sparì nel cielo.
 Partì direttamente per il
regno dei deva, dove si sedette su di una grande pietra piatta,
chiamata Pandukamdala. 
Sarebbe rimasto lì, in alto, dove avrebbetrascorso i tre mesi del vassa. 
Non vedendolo più apparire, alcuni si misero a piangere. 
Lo attendevano in molti, e si fermarono sul posto,
con lo sguardo fisso al cielo, là, dove il Beato era sparito. 
Venne
chiesto, allora, al Venerabile Maha Moggalana:
«Oh, nobile Venerabile! Buddha, è, forse, partito?

— Non lo chiedete a me! Domandatelo al Venerabile Anuruddha!»
Il Venerabile Maha Moggalana conosceva molto bene la risposta, ma
voleva mettere alla prova le capacità del Venerabile Anuruddha , che
fu perfettamente capace di rispondere:
«E' partito per la sfera Tavatimsa del mondo dei deva.
 Ritornerà da
noi per la luna piena, che indica la fine del vassa.»
Poiché la gente lo volle, comunque, attendere, sin da quel momento, si
stabilirono tutti nella città di Savatthi; anche coloro la cui
residenza si trovava lontana dalla capitale.




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