Hiv, meno aggressivo se il colesterolo è basso
In uno studio della Graduate School of Public Health della University of Pittsburgh, condotto da Giovanna Rappocciolo e Charles Rinaldo e pubblicato su mBio, lo si è studiato in correlazione con l’Hiv.
Sembra, infatti, che un basso tasso di colesterolemia in alcune cellule specifiche del sistema immunitario rallenti lo sviluppo della malattia anche su pazienti non sottoposti a trattamenti farmacologici.
Un tasso di colesterolo basso dovrebbe dipendere da fattori ereditari. L’Hiv, infatti, sfrutta proprio i linfociti B e le cellule dendritiche, cellule in grado di riconoscere elementi ospiti, per farsi trasportare fino ai linfonodi che diventano base riproduttiva del virus, da dove si trasmettono ad altre cellule come i noti linfociti T. I bassi livelli di colesterolo in tali cellule hanno una capacità inibitrice del trasporto del virus.
Questa caratteristica genetica potrebbe essere la causa delle differenze riguardo l’evoluzione degli stadi della malattia in quei soggetti che non presentano una riduzione dei linfociti T adeguata alla media dei casi. Vi sono, infatti, persone che sviluppano la malattia molto più lentamente delle altre. E questo sembra essere dettato da una bassissima quantità di colesterolo nelle cellule dendritiche.
Gli studiosi hanno analizzato dati relativi a campioni biologici forniti da volontari nel corso di 30 anni al Pitt Men’s Study, finanziato dal National Institutes of Health.
Selezionati otto individui i cui linfociti T non si depauperavano secondo il corso naturale della malattia, sono stati sottoposti a test per 11 anni, due volte l’anno. I dati così riscontrati sono stati confrontati con quelli di soggetti i cui linfociti T seguivano un collasso naturale secondo i tempi tradizionali dell’infezione virale. Questo avveniva perché i virus Hiv non venivano trasmessi dalle cellule dendritiche e dai linfociti B ai linfociti T. Studiando la struttura di queste cellule si è potuto riscontrare una efficienza di trasmissione inversamente proporzionale al livello di colesterolo delle cellule trasmettitrici.
La prova del nove?
Un test di laboratorio.
Gli scienziati hanno iniettato i virus nei linfociti T dei soggetti a progressione più lenta. Il ritmo di propagazione ritornava così a progressione normale. Il rallentamento, dunque, non è certo determinato dai linfociti T.
E secondo i firmatari di questo studio è decisamente da imputare ai livelli di colesterolo dettati da fattori ereditari. Sembra che oggi ogni studio in ogni campo medico tenda a rivalutare sempre più il ruolo della genetica.
Speriamo che tra 300 anni le cure a qualunque problema sanitario non siano da ricercare e curare nel genoma del feto.
Giselda Campolo
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